Estratto
Di seguito puoi leggere il primo capitolo del romanzo Sirene contro corrente di Silvia Margherita. Se preferisci, puoi visualizzarlo nella versione Pdf (240 Kb).
1.
Ogni posto comincia da qualche parte e per parlare di lei, la mia Città frenetica e visionaria, ho sempre pensato che bisognasse cominciare avvicinandosi lentamente dal mare. Con la barriera blu dell’acqua davanti, Napoli appare diversa. Ma devi scrutarla in una mattinata estiva leggermente ventilata, quando la brezza sale su e ti si appiccica alla pelle lasciando il profumo del sale. Con un po’ di fortuna ti può capitare anche di sentire il canto della sirena Partenope, la madre della Città, il pescedonna che si getta nel mare e si lascia morire per dimenticare le sue pene d’amore.
In cima alla terrazza di Castel dell’Ovo Lisa si sporse dalla balconata e guardò in basso. Qualche metro sotto di lei, uno spicchio arrotolato di mare s’infrangeva sulle mura dell’edificio medievale sputando sassolini ed emanando un suono acuto e duraturo. La diversità del rumore delle onde al loro infrangersi, aveva letto, è spiegabile in base alla dimensione delle bolle d’aria che si formano al loro interno. Le bolle più grandi – secondo due ricercatori californiani dell’Istituto di Oceanografia – scoppiando originano un tonfo sordo mentre le piccole producono un suono graduale, d’elevata frequenza ed esteso nel tempo.
Le note d’acqua, sebbene differenti per intensità e valore musicale, scivolando nelle orecchie, provocavano in Lisa lo stesso effetto: liberare i ricordi. Era una melodia trasparente, una sinfonia impalpabile che accarezzava i desideri del passato e li accendeva di una luce invitante.
Una lacrima strisciò giù dai suoi occhi castani e arrivò in fondo, fino al mare. Lì, il suo oceano di tristezza si mescolò alla schiuma salata della risacca e venne trascinato dalla corrente del Golfo. Il dolore, cullato dal dondolio liquido del Mediterraneo, fu all’improvviso lavato da una doccia di pensieri proibiti. Un vortice d’emozioni le fece sussultare il cuore.
Lanciarsi giù come Partenope e affogare in un mare di dolcezza.
L’idea lampeggiò nel cervello a intermittenza.
Il tempo non giocava certo a suo favore: un esercito di turisti, avidi non tanto di conoscenza, bensì di immagini da catturare per trasferirle sul proprio profilo social il più rapidamente possibile, si accalcava già all’ingresso del Castello. Tali soldati, armati di macchine fotografiche, videocamere, cellulari, tablet d’ultima generazione e orologi con telecamera incorporata, avrebbero circondato quel luogo in un batter d’occhio. Erano pronti a tutto pur di portare a termine la loro missione: condividere la vacanza esclusiva in rete con amici, colleghi o conoscenti.
Ora o mai più. Un tuffo, un salto rapido sugli scogli per fermare il presente nella sabbia e sgretolare il futuro.
Fu solo un attimo. Poi una voce alle sue spalle la fece trasalire:
“Salta! Dimostra che hai coraggio, ragazza: forza, buttati giù. Lui ti ha tradita, orsù. Che aspetti?”
L’inattesa incitazione proveniva da un’apparizione di cui Lisa, con il sole negli occhi, non riusciva bene a scorgere i contorni del viso. La sagoma, in controluce, sembrava talmente perfetta da suscitare l’invidia di qualsiasi essere di sesso femminile, effondeva un profumo di vaniglia nonostante il caldo torrido di agosto, afa che a lei al contrario faceva sudare persino le mani, ed era completamente nuda: solo dei lunghi capelli color caramello, che sotto il fascio di luce parevano fili dorati, coprivano parte delle sue “grazie” sode e giovani. Per un attimo credette di stare sognando ad occhi aperti.
Calma, niente panico. È solo un’allucinazione. Ma niente panico: tu non sei matta. Sei solo un po’ confusa.
Tranquillanti, del resto, Lisa non ne aveva mai usati in vita sua e forse quella pasticca alla quale aveva ceduto ieri sera, su insistenza di Elena, miracolosa per prendere sonno, stava provocando degli strani effetti collaterali. La Venere, taglia trentotto, con le sue splendide curve da top model al vento, senza un filo di cellulite o pelo superfluo, probabilmente doveva essere solo il frutto della sua immaginazione alterata dal farmaco, o alimentata dai suoi sensi di colpa per aver sgarrato un’altra volta alla dieta autoimposta. Sarebbe scomparsa: bastava chiudere e riaprire gli occhi.
“Chi vuoi prendere in giro, sorella? Per fare quel salto ci vuole un coraggio che non hai. Ti aiuterò io: basta una spintarella.”
Sebbene lo sproloquio avesse un tono piuttosto minaccioso, Lisa avrebbe anche conservato i nervi saldi, se non fosse per il fatto che la figura femminile stava pericolosamente avvicinandosi sempre di più, insinuando in lei il dubbio che non si trattasse di paranoia e che per persuaderla, come dichiarato, volesse passare dalle parole ai fatti. Che fare?
Istintivamente indietreggiò sul vecchio pavimento di tufo. Le mani afferrarono il parapetto della ringhiera e si tennero ben salde, rivelando che quel lampo irrazionale era stato solo un bluff pronto a precipitare nell’abisso del fondale partenopeo. La stangona dagli irriverenti capezzoli in vista non si limitò a ridacchiare: si abbandonò a congetture saccenti e piuttosto fastidiose.
La morte, secondo la sua intuizione, non era mai stata realmente contemplata come possibile soluzione da Lisa. Una tale ipotesi, sebbene comoda, non poteva essere presa in considerazione per un motivo tutt’altro che banale: le avrebbe impedito di sguazzare nella sofferenza e godersela fino in fondo. Dopotutto, come la maggior parte della gente, anche Lisa trovava difficile ammettere di essere un esemplare, neanche troppo raro, d’autentica masochista. La sua inclinazione, incrementata da una buona dose di dipendenza affettiva, la conduceva a ritrovarsi, suo malgrado, invischiata in relazioni turbolente e fallimentari. Ma c’era anche un’altra ragione più profonda che le permetteva di escludere la possibilità della fine volontaria: la signora dell’oscurità, Lisa l’aveva già incontrata una volta venti anni fa. Quello che i suoi cinque sensi le avevano rivelato in quella triste occasione, era stata un’esperienza di crescita e conoscenza tutt’altro che piacevole. Da allora ogni separazione per lei era diventata un lutto, il rinnovo di un dolore antico che già una volta l’aveva squarciata in tanti minuscoli granelli di rabbia, acuminati come la punta di un diamante. Il puzzle non si era mai del tutto ricomposto. Ma quella ferita le aveva anche donato la consapevolezza che si riesce comunque a trovare la forza per sopravvivere, qualsiasi cosa accada.
Un altro brusco cambiamento si stava verificando ora, a pochi giorni dal suo trentaduesimo compleanno. Ancora una volta le veniva imposto lo stesso spietato diktat che da adolescente non era riuscita a imparare: saper perdere le persone che amiamo.
Adesso Lisa ne aveva davvero abbastanza di stare ad ascoltare quell’insolente sadica dal corpo perfetto che era sbucata fuori dal nulla per impartirle lezioni di vita sulle sue problematiche irrisolte. Neanche uno della sfilza di psicologi, che l’avevano visitata nel corso degli anni, aveva mai osato affrontarla con una tale franchezza. Le sue parole, crude e aggressive, sembrava mirassero a far crollare del tutto quel briciolo d’autostima che ancora conservava, minando la sua, già fragile, psiche.
“Okay adesso basta, stai sparando un mare di sciocchezze. Vattene via.”
“Prima ti faccio vedere come è facile.”
“Cosa?”
La sconosciuta non rispose: prese la rincorsa e si lanciò nel vuoto urlando con una gioia sguaiata e fuori posto. Lisa, dalla posizione nella quale si trovava, non riuscì a seguire il tuffo fino al momento dell’impatto. Raggiunse un punto dal quale poteva avere una buona visuale per sezionare con lo sguardo ogni particolare dello spazio, fra mare e scogli, dove, dopo il balzo, avrebbe dovuto trovarsi il corpo della donna. Tuttavia, la ricerca accurata non produsse alcun esito: la donna si era volatilizzata. A un tratto scorse la pinna di un grande pesce che si stava immergendo. Stranamente la pinna non sembrava appartenere a un delfino, né a uno squalo né a nessun altro abitante del Mediterraneo da lei conosciuto o studiato a scuola.
Fu la seconda immersione della creatura, accompagnata da un canto celestiale, a farle ipotizzare che si trattasse di un essere mitologico: una sirena. Solo quando la testa affiorò nuovamente sulla superficie dell’acqua, realizzò che la creatura, metà donna e metà pesce, era la sconosciuta che si era buttata in acqua dalla terrazza del Castello al suo posto. La sirena le fece un cenno di saluto con la mano e poi scese in profondità lasciando intravedere per un attimo la sua voluminosa coda color argento. Poteva solo essere la confidente invocata da Lisa tante volte: Partenope.
Dopo pochi istanti, i turisti invasero la terrazza creando, con un vociare allegro e scomposto, una gran confusione. Armati dei loro mezzi ultratecnologici, pagati a rate o indebitandosi, s’immortalavano in foto o video destinati ad allargare la propria sfera di contatti e soprattutto a dimostrare di potersi permettere una vacanza extra lusso, come in tempi di vacche grasse, anche ora che la crisi economica dilagava come un virus contagioso in tutto il paese. Per questo, più che assaporare un luogo e le sue bellezze o ricercarne la storia, era necessario per la maggior parte di loro filmarsi davanti a un paesaggio. In modo cioè da ostentare al mondo di non appartenere a quella schiera di “sfigati” che d’estate era rimasta in Città per risparmiare. Come appreso durante l’era Berlusconiana, per il genere di turista che si rivolgeva alla loro agenzia, La “Neapolis tour”, essere di successo coincideva per lo più col fingere d’avere un mucchio di soldi e darsi alla “bella vita” in compagnia di donne sexy, con poco cervello e tanta voglia di sfondare in TV. Chi non possedeva la fortuna di avere un gruzzoletto da parte da sperperare in numerosi viaggi, cene in ristoranti di tendenza, serate innaffiate da litri di champagne o superalcolici, e tavoli riservati nei privé delle discoteche più alla moda del nostro paese, poteva correre ai ripari costruendosi sui social network una realtà immaginaria, anni ottanta, per apparire un vincente, anche se nei fatti si puzzava di fame ed era in ritardo con il pagamento dell’affitto e del viaggio prenotato.
Fra i turisti si fece largo una quarantenne dai capelli tinti di biondo platino: stringeva un ombrellino in mano e sul petto risplendeva una spilla dorata con la scritta “Neapolis tour”. La signora, novella sposa nonostante l’età matura, indossava all’anulare una fede nuova di zecca tempestata di diamanti. Agitando l’ombrellino, l’anello tutt’altro che sobrio risaltava ancora di più ed evidenziava il suo nuovo status di moglie. Si schiarì la voce e richiamò l’attenzione del gruppetto che si era già sparpagliato sulla terrazza per ritrarsi con un ennesimo selfie.
“Signori, signori per favore venite qui un attimo. Voglio presentarvi la mia collega che vi porterà in giro per la Città.”
Lisa riconobbe la voce e immediatamente cercò di ricomporsi aggiustandosi sul petto la spilla con la scritta “Neapolis tour”. Inutile tergiversare: capì subito che era troppo tardi per tirarsi indietro. E così, sebbene dentro di lei, dopo l’incontro con Partenope, ogni atomo urlasse che non sarebbe arrivata indenne a fine giornata, si diresse verso il gruppo di ‘alieni’, così li chiamava in privato, con un sorriso solare stampato sulle labbra.
“Buongiorno a tutti, io sono Lisa. Spero che vi siate riposati durante il viaggio perché questa Città è piena di splendidi monumenti da visitare.”
Non le venne in mente niente di meglio da dire. Ma a quella gente, bulimica d’immagini, non sembrava importare più di tanto. Risposero di sì in coro, come se fossero una sola voce, senza distogliere lo sguardo da telecamere, smarthphone e macchine fotografiche. In un istante Lisa si rese conto che il più era fatto: loro non si sarebbero accorti di quanto stava male per la strana visione, del fiato che ancora non le arrivava alla bocca dopo il salto della sirena e delle gambe che improvvisamente avevano preso a tremarle come quando era interrogata a scuola. Se la sarebbe cavata come al solito.
Doveva essere professionale. Sì, professionale. È così che il suo capo, Salvatore Aniello, le aveva ordinato quella mattina quando era andata a chiedergli due giorni di ferie per non piombare in un esaurimento nervoso.
Ovviamente quel gran bastardo, visto che non era riuscito mai a farsela, glieli aveva negati. Per lui, maschilista frustrato e misogino, single impenitente alla soglia dei cinquant’anni, tutto girava intorno a un’unica cosa: la fica.
Chi gliela dava, partecipando ai suoi festini, brutta copia degli eventi organizzati da politicanti da lui venerati, rimandandogli la sensazione falsa di essere un uomo “riuscito”, aveva vita facile all’agenzia. Chi invece lo evitava era costantemente sotto la spada di Damocle del licenziamento, visto che tutte le sue dipendenti donne erano assunte con un contratto a tempo determinato e firmando anticipatamente le dimissioni in caso di gravidanza.
“Perché cominciamo da questo posto?”
Era una ragazza giovane, quella che interruppe i pensieri di Lisa. Evidentemente non se l’era bevuta. Aveva intuito che nel suo tono carico d’allegria c’era qualcosa di finto. La donna aveva sì e no vent’anni, l’aria attenta e lo sguardo vispo di chi ama mettere in difficoltà il prossimo. In mano non stringeva nessun tipo di supporto high-tech e questo senza dubbio era un brutto segno. Probabilmente apparteneva alla rara stirpe, ormai quasi in estinzione, di essere pensante e imprevedibile, in grado di formulare domande intelligenti e non stereotipate. Al contrario dei cyberdipendenti da nuove tecnologie, non poteva rigirarsela come voleva. Di sicuro non si accontentava delle informazioni nozionistiche che provenivano da wikipedia. Lisa non si lasciò scoraggiare.
“Prima di tutto perché c’è una bellissima vista… E poi è da qui che possiamo far risalire la fondazione di Napoli. Qualcuno conosce il mito delle sue origini?”
Un signore grassoccio, con spessi occhiali e un pronunciato naso aquilino alla Cyrano de Bergerac, s’illuminò. Si vedeva bene che gli faceva piacere far sfoggio della sua cultura. A scuola doveva essere il primo della classe. E poi con gli anni aveva usato la conoscenza per sedurre, visto che Madre natura non l’aveva dotato di altri mezzi alternativi per aiutarlo nella riproduzione della specie. Si tolse gli occhiali e nel suo accento del nord disse:
“Quello della sirena…”
“Esattamente. Secondo la leggenda, la sirena Partenope viene respinta da Ulisse, si lascia cadere in mare e decide di morire. Il suo corpo viene trascinato dalla corrente fino a qui, all’isolotto di Megaride. Il luogo dove poi sorgerà la Città che originariamente porta il suo nome.”
“Tutto questo per un uomo. Una sirena non dovrebbe sacrificarsi per un Ulisse qualsiasi.”
“È la storia della mia vita e il mio ex non aveva neanche un’unghia di un eroe dell’antica Grecia.”
Era passato solo un mese da quando Nicola l’aveva piantata per Giada “tette al silicone”. Quei trenta giorni, e quelle trenta notti, avevano cancellato rapidamente i sei anni di convivenza passati al suo fianco. Più d’ogni altra cosa era stata la fantasia ossessiva di lui a letto con la bambola dal seno gonfiato chirurgicamente, e la puzza sotto il naso, ad aiutarla a capire che doveva provare a ricominciare.
Del resto, sapeva bene che niente durava in eterno e c’era sempre un momento in cui bisognava decidere se lasciarsi andare alla deriva o cambiare rotta e navigare da soli controvento. Per fortuna poteva contare sulle sue amiche: l’unica certezza che avrebbe fatto parte del suo cammino sempre; di fronte alle strade interrotte, alle lunghe file ai semafori, alle frane da allagamenti e persino quando, in una Città piena di vicoli chiusi e sacchi d’immondizia, finiva per perdere l’orientamento. Loro ci sarebbero state fino alla fine dei suoi giorni. E questo senza dubbio era un pensiero rassicurante.
Elena, Sandra e Monica, per lei, erano una vera e propria famiglia. Si frequentavano dai tempi del liceo e insieme erano diventate un nucleo d’esperte nuotatrici nei flutti della vita sentimentale. Ognuna di loro possedeva dei difetti che Lisa, col tempo, aveva imparato a conoscere e a sopportare. A dirla tutta, più che difetti, le loro manie potevano essere lette come sintomi di dipendenze un po’ patologiche. Talvolta, con le loro fissazioni, riuscivano a farle perdere la testa. Tuttavia, l’affetto che le regalavano, in modo l’una diverso dall’altra, negli anni aveva riempito i vuoti della sua esistenza. Vuoti di bambina che, senza il loro aiuto, da donna, si sarebbero trasformati in voragini di una fame d’amore atavica.
“Neanche mio marito è un eroe. Non hai trovato un sostituto? Una bella ragazza come te…”
La turista che aveva parlato era la moglie dell’uomo sovrappeso, occhialuto e dal naso pronunciato alla Cyrano de Bergerac: era una bella donna vestita e truccata in modo appariscente e iperattrezzata dal punto di vista tecnologico. Una Rossana in versione moderna, sfoggiata con orgoglio dal suo consorte come fosse un’automobile nuova.
“No, ma state tranquilli… non ho intenzione di buttarmi giù. Sono abituata a nuotare contro corrente.”
Fu allora che Lisa sentì la voce di Partenope rimproverarla:
“Bugiarda!”
Aveva mentito? Certo che no! Quel pensiero suicida, come aveva ben capito quella gran furba di Partenope poco prima, non le apparteneva affatto. Era stato solo un istante d’annebbiamento delle sue funzioni razionali. Di sicuro non le sarebbe capitato mai più. Amava la vita e intendeva dare battaglia a quel groviglio di nodi parlati che le bruciavano nello stomaco impedendole la virata verso lidi migliori. In due giorni sarebbero scomparsi. Annientati. Kaputt! E nell’immobilità della sua prua al vento sarebbe stata capace di alzare ancora le vele.
Sull’onda di questa certezza, Lisa esplorò con lo sguardo lo spazio intorno, alla ricerca della sirena per redarguirla, ma sentendone solo la voce, senza poterla vedere, s’infuriò ancora di più:
“Dove ti nascondi? Tornatene in mezzo ai pomodori di mare e alle meduse! Sono velenosi e irritanti quanto te!”
I turisti ascoltarono il suo strambo monologo restando in silenzio. La Rossana vestita in modo appariscente non si scompose: alzò gli occhi dal suo tablet nuovo di zecca e si allontanò verso il muretto per scattare una fotografia da inviare in chat agli amici rimasti a casa perché potessero invidiarla e ritenerla una privilegiata. Il Golfo di Napoli era illuminato dalla luce del sole di mezzogiorno, ma in automatico partì il flash. Fu allora che un ricordo salì dalle viscere di Lisa peggiorando la situazione già di per sé piuttosto imbarazzante: il canto di una sirena. Due corpi sull’asfalto crivellati da una scarica di proiettili. Buio. Luce. Acqua. Onde. Musica del mare interrotta. Era un fango di ricordi che ristagnava nella sua mente e saliva a galla quando meno se l’aspettava. Qualche volta le gocce del mare riuscivano a sciacquare la pozzanghera torbida della sua infanzia lacerata; altre volte era il colore marrone del suo passato a macchiare il Golfo inquinandolo di pensieri di morte.
“Andate via! Ne ho abbastanza di voi!”
Le parole di Lisa erano volte a scacciare i ricordi tristi, ma i turisti interpretarono male la vicenda e si offesero. Qualcuno finì anche per insultarla. Altri, indignati, si limitarono a filmare le sue strambe grida e a condividerle su un social network rendendo per lei i rapporti con il suo capo Salvatore ancora più difficili.
Quando ritornò in sé, Lisa avrebbe voluto prendere a schiaffi quella rompiscatole di Partenope. In fondo non era forse sua la colpa di quella figuraccia davanti ai turisti? La sirena, tuttavia, dopo averla provocata, aveva saggiamente tagliato la corda: era sparita nel nulla facendo perdere le sue tracce.
A Lisa restava la consapevolezza che dal giorno in cui si era lasciata con Nicola, nella mappa che aveva tracciato per il suo avvenire, si era delineata, suo malgrado, una deviazione inaspettata. Anche se ignorava cosa fosse realmente accaduto quel giorno, col passare del tempo avvertiva non solo la portata di quella trasformazione, ma soprattutto come il brusco mutamento riuscisse a scalfire la sua integrità emotiva. Se solo avesse potuto vedere allora il quadro completo, la carta topografica nel suo insieme, forse sarebbe riuscita a non ritrovarsi invischiata in una serie d’accadimenti che avrebbero inciso sul suo futuro. Nonostante le mancassero delle informazioni, tuttavia, percepiva chiaramente che, per poter ritrovare la strada, prima doveva perdersi e affrontare il viaggio al buio più importante della sua vita: quello dentro se stessa.
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